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Digito ergo sum?

se non sei social non esisti

Viviamo davvero in un mondo in cui se non hai almeno 500 collegamenti su LinkedIn non sei nessuno?  

di Irene Morrione 

Le persone migliori che conosco non sono su LinkedIn. 

Giorni fa mi è capitato di riflettere con una collega sul fatto che i nostri mentor e maestri, quelle persone a cui ti rivolgeresti se proprio hai bisogno di un consiglio saggio e competente,  non siano tanto presenti sui social.

Ciò mi ha fatto pensare a come le piattaforme social, in particolare LinkedIn, inneschino dei meccanismi di visibilità legati quasi esclusivamente alla forma e all’apparenza; dando maggiore risalto a quanto una persona è in grado di vendersi e pubblicizzare la sua immagine, piuttosto che alla sua vera sostanza

Questo non significa che sia vero per tutti: ci sono, ovviamente, professionisti validissimi molto attivi e molto seguiti su LinkedIn, ma ce ne sono altrettanto bravi, che non hanno mai considerato più di tanto il mondo dei social media, così come ce ne sono altri che sono dei veri e propri “Bluff da tastiera: collezionano like scrivendo e pubblicando banalità ad effetto wow, ma, se scavi attentamente,  di sostanza, competenza, approfondimento e originalità trovi poco o niente.  

Tra l’altro la regola che chi lavora molto e bene non ha bisogno di molta visibilità e non ha molto tempo per postare è sempre valida 

 

IL SOCIAL NON E’ IL TERRITORIO 

Prendendo in prestito una nota massima elaborata originariamente da Korzybski “La mappa non è il territorio” ad indicare che ognuno di noi vive immerso in una mappa fatta di filtri che deformano la realtà potremmo arrivare a sostenere che il social non è il territorio.

Ciò che accade su LinkedIn  è solo un mappa fittizia della realtà , dove la popolarità non corrisponde al numero di contatti reali sui quali poter contare nella vita reale e il numero dei like non determinano affatto la competenza di un professionista.

scena black mirror

Considerare il ristretto mondo di quello che accade su LinkedIn come l’intera realtà, quando invece è solo una parte, conduce al rischio di perdere di vista la limitatezza del sistema stesso.

Questa non vuole essere la demonizzazione di uno strumento utilissimo e anche interessante, ma uno spunto per mantenere uno spirito critico,  disidentificare il talento dai like, distinguere la competenza dalla popolarità, sfatare il mito che l’essere estroversi e social sia il miglior modo di relazinarsi. 

 

GARA ALL’ULTIMO LIKE! 

Il digito ergo sum è del tutto fuorviante e spesso genera malintesi e male-interpretazioni della realtà. Per non parlare del fatto che, soprattutto tra i giovani, si sta diffondendo una sorta di dipendenza da like, ovvero “se non piaccio sui social non valgo niente”. Assistiamo purtroppo ogni giorno a casi di cronaca giovanile generati proprio da questo tipo di  disagio. 

Come ultima generazione nata senza il telefonino, ancora mi ricordo di quando i miei amici mi venivano a citofonare a casa, il nostro esserci e il nostro socializzare erano completamente slegati da qualsiasi mezzo di comunicazione e forse è per questo che pur essendo anche io, inevitabilmente, sulla ruota dei criceti social, riesco ancora a vedere e valorizzare quel pezzo di realtà fuori dalla tastiera e ho mantenuto l’idea che, non siano i like a misurare il valore di un professionista quanto piuttosto la  competenza, la profondità di pensiero e l’originalità.

 



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