Ecco perché i processi di feedback sono spesso inutili e dannosi.
Uno degli interventi in azienda che più spesso ci viene richiesto riguarda l’organizzazione di training sul feedback, ovvero insegnare ai manager come dare feedback ai propri collaboratori secondo un processo strutturato
Sembra una richiesta piuttosto normale. In genere, una o due volte l’anno, i manager si riuniscono con i collaboratori e condividono un feedback sulla performance del singolo o del gruppo.
L’idea a monte è che questa condivisione aiuti la persona e il team a migliorare la propria performance.
Una cerimonia un po’ vuota, a volte dannosa.
Quello che accade nella realtà è che generalmente questo momento viene vissuto come un’ imposizione formale. I feedback vengono restituiti in maniera superficiale e cercando di essere più diplomatici possibili.
Per fare un esempio, se si devono dare delle valutazioni numeriche spesso i manager si posizionano nel mezzo.
La persona non riceve veramente delle indicazioni su che cosa migliorare e su quali sono i suoi punti di forza e nella gran parte dei casi, finita la riunione, tutto resta come prima. Nei casi peggiori invece , il feedback si tramuta in critica o giudizio, deteriorando la relazione con il manager e a volte creando forti malcontenti e demotivazione. Da qui la richiesta delle organizzazioni di insegnare al manager a dare un feedback in modo che questo possa essere efficace.
Allora dov’è il problema?
Il punto è che si cerca la soluzione al problema sbagliato. Sicuramente alcuni manager, soprattutto se giovani hanno bisogno di conoscere come si da un feedback, ma nella nostra esperienza, quando il processo di feedback non funziona il problema è a monte e riguarda l’assenza di fiducia.
L’assenza di fiducia è molto diffusa nei contesti organizzativi. Si ha paura di esprimere le opinioni, del giudizio dei manager e dei colleghi, si ha paura di sbagliare e di dire di aver sbagliato, si ha paura di mostrare le proprie vulnerabilità.
Nella nostra esperienza, tanto più c’è assenza di fiducia, tanto più si sente il bisogno di strutturare dei processi che sarebbero del tutto naturali.
Se tra manager e collaboratori c’è una relazione di fiducia il feedback è qualcosa che non va strutturato ma è qualcosa che avviene naturalmente, sotto forma di dialogo. Spesso è proprio il collaboratore a interpellare il proprio manager per avere dei confronti e questa attività di scambio di feedback avviene in maniera naturale e costante. Quindi nella quotidianità dei progetti il manager col suo collaboratore o comunque con il team trova spazi dedicati, informali per avere dei confronti.
Il vero tema da svolgere
Quando questo non avviene, invece, c’è bisogno di andare a strutturare un processo , che di per sé non è negativo, ma risolve il sintomo e non la causa. Il punto è: le persone aldilà del processo si parlano, si fidano, si dicono esattamente come la pensano?
A nostro avviso le organizzazioni dovrebbero prima affrontare questo tema, e quindi far sì che le persone e che il substrato culturale e organizzativo permettano lo scambio dei feedback. Questo significa instaurare un clima di fiducia, ad esempio strettamente legato al discorso dell’errore; sbagliare è naturale ed è naturale ricevere un feedback di sviluppo in questo caso, ma nessuno verrà punito, non ci sarà la ricerca del colpevole, quanto piuttosto un dialogo per capire insieme cosa e come fare diversamente la prossima volta.
Questo scenario ideale di fiducia permette poi che il feedback diventi un processo naturale, costante e continuativo.
La domanda più utile da porsi
In sintesi la domanda più utile da porsi non è come insegnare ai manager a dare feedback ma come creare una cultura basata sulla fiducia e sull’apertura in cui il rapporto tra manager e collaboratori sia naturalmente basato sul dialogo evolutivo.
Irene Morrione