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Feedback: correre una maratona senza aver fatto un solo giorno di allenamento

Feedback: correre una maratona senza aver fatto un solo giorno di allenamento

Recentemente, un cliente mi raccontava dello sforzo e dell’investimento fatti nella sua azienda per formalizzare la pratica del feedback nei processi di gestione delle performance. Hanno organizzato corsi, intrapreso azioni di sensibilizzazione e comunicazione sull’importanza del feedback, integrandolo nel processo di valutazione delle persone. 

Tuttavia, il clima aziendale è segnato da una marcata paura di esprimere dissenso e da un pensiero dominante ancorato alla forza del ruolo e della gerarchia, difficile da erodere. In sintesi, manca la sicurezza psicologica che Emy Edmondson definisce come il “il sentirsi ok nel non essere ok” (esprimere dissenso, dubbi, idee controcorrente, ammettere errori e difficoltà).

Senza un autentico clima di sicurezza psicologica, il feedback diventa una pratica non solo inutile, ma anche  potenzialmente dannosa. Nella migliore delle ipotesi, quest’attività è percepita come un puro adempimento burocratico, le valutazioni non sono genuine e non si crea un vero dialogo tra le persone, ma solo il disbrigarsi di un obbligo formale. 

Nel peggiore dei casi, il momento formale di scambio del feedback diventa uno sfogatoio di giudizi e rancori che le persone non hanno potuto esprimere altrimenti, mancando un reale clima di sicurezza psicologica. Dunque al termine dello scambio la relazione ne uscirà con tutta probabilità impoverita, se non addirittura ulteriormente danneggiata.

Chiedere alle persone di fornire feedback in un ambiente che non promuove la sicurezza psicologica è come costringerle a correre una maratona senza aver fatto un minuto di allenamento: ci si fa molto male. Pertanto andrebbero invertiti i termini del problema. Il tema non è imparare a darsi un feedback e “costringere” le persone a farlo, quanto creare un ambiente in cui le persone si sentano a loro agio nell’esprimersi liberamente, anche su temi scomodi, alimentando un naturale e continuo dialogo tra le persone senza codificare e processualizzare un aspetto che, dove c’è sicurezza psicologica, è del tutto spontaneo.

 La responsabilità di creare questo clima spetta ai leader, l’acqua fresca viene dall’altro, o per dirla in maniera più colorita, il pesce puzza della testa. Creare sicurezza psicologica non è gratis e richiede impegno costante da parte dei leader: serve intenzione e attenzione: l’intenzione di voler veramente portare un cambiamento culturale nella propria azienda e l’attenzione costante affinché questo avvenga.



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